Fibrillazione atriale: sintomi e diagnosi


Tra le aritmie cardiache, la fibrillazione atriale è la più diffusa nella popolazione generale, e registra un aumento della prevalenza con l’avanzare dell’età.

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Ne parliamo con ildott. Emiliano Calvi, cardiologo della Clinica Sedes Sapientiae.

Cos’è la fibrillazione atriale?

La fibrillazione atriale (abbreviata FA) è l’aritmia più comune nella popolazione, che tende a diventare più frequente con l’avanzare dell’età. Spesso questa patologia è associata a sintomi che possono compromettere la qualità della vita e generare complicanze significative.

Nella fibrillazione atriale l’attività elettrica degli atri diventa caotica, risultando in una attività meccanica del cuore irregolare dovuta a una contrazione non coordinata di atri e ventricoli.

Questo ritmo irregolare compromette la normale funzione di pompa del cuore, determinando a lungo andare un rimodellamento delle pareti cardiache che può portare a una condizione di insufficienza cardiaca.

Inoltre, il cuore perde la capacità di modulare la frequenza cardiaca in risposta, ad esempio, a sforzi fisici o situazioni emozionali.

Inizialmente gli episodi di fibrillazione atriale sono sporadici e di breve durata (“fibrillazione atriale parossistica”), ma con il passare del tempo tali episodi tendono a comparire con frequenza sempre maggiore e a durare sempre più a lungo, fino al punto in cui non si è più in grado di ripristinare il normale ritmo sinusale (si parla in questo caso di “fibrillazione atriale permanente”).

Quali sono i sintomi della fibrillazione atriale?

I sintomi più comuni associati alla fibrillazione atriale sono battito cardiaco rapido e/o irregolare (cardiopalmo aritmico), astenia (debolezza diffusa e stanchezza costante), mancanza di respiro, scarsa tolleranza allo sforzo fisico, dolore retrosternale.

Tuttavia, in alcuni casi la fibrillazione atriale può essere asintomatica e quindi non manifestare sintomi evidenti. In queste situazioni diventa particolarmente importante la diagnosi precoce, con controlli periodici specie dopo i 50 anni.

Come si diagnostica la fibrillazione atriale?

La diagnosi di fibrillazione atriale è formulata dal cardiologo o dall’aritmologo in seguito alla valutazione di un elettrocardiogramma (ECG). Tuttavia, per confermare e approfondire la diagnosi, lo specialista di solito si avvale di altre indagini, quali:

  1. Esami del sangue, che valutano funzione tiroidea, renale ed elettroliti.
  2. Ecocardiogramma, che fornisce immagini dettagliate del cuore per valutarne struttura e funzione.
  3. Holter ECG dinamico, un monitoraggio continuo del ritmo cardiaco per 24-48 ore, che registra eventuali anomalie nel battito cardiaco nel corso della giornata.
  4. Impianto di Loop Recorder, un piccolo dispositivo sottocutaneo che registra costantemente il battito cardiaco per un periodo di tempo prolungato (2-3 anni) e trasmette i dati direttamente al Cardiologo, permettendo di rilevare in anticipo aritmie anche rare.
  5. Test da sforzo, un esame che valuta la risposta del cuore all’esercizio fisico, utile per individuare eventuali anomalie del ritmo cardiaco durante l’attività fisica.

Quali sono i trattamenti per la fibrillazione atriale?

Di fronte alla diagnosi di fibrillazione atriale è innanzitutto cruciale valutare il rischio cardioembolico del paziente, ovvero la probabilità di formazione di trombi all’interno del cuore che possono dislocarsi e occludere le arterie periferiche, provocando ad esempio ictus cerebrale. Per tale motivo è spesso indicata una terapia anticoagulante orale.

Per ridurre invece il numero degli episodi di fibrillazione atriale e per rallentare la frequenza cardiaca durante tali episodi è necessaria una terapia antiaritmica, che può essere assunta cronicamente oppure tempestivamente in caso di comparsa dell’aritmia.

Qualora l’episodio di fibrillazione atriale non si interrompa spontaneamente si ricorre alla cardioversione, che ha lo scopo di ripristinare il normale ritmo sinusale mediante l’infusione endovenosa di un farmaco (“cardioversione farmacologica”) oppure mediante l’erogazione di una scossa elettrica in corso di sedazione (“cardioversione elettrica”).

In caso di episodi ripetuti di fibrillazione atriale parossistica, specialmente qualora il paziente avverta i sintomi dell’aritmia, si può ricorrere all’ablazione transcatetere. Si tratta di una procedura interventistica che prevede, tramite la puntura della vena femorale a livello inguinale, l’inserimento di uno strumento all’interno del cuore con cui creare una lesione precisa e mirata nel punto in cui solitamente ha origine l’aritmia, riducendo significativamente il rischio di recidive. Questa procedura viene eseguita in ambiente ospedaliero in una sala operatoria dedicata, e può avvenire in anestesia locale o generale.

Qualora le precedenti strategie terapeutiche non abbiano dato esito positivo e ci si trovi di fronte a una fibrillazione atriale permanente, si può optare per una terapia farmacologica di solo controllo della frequenza cardiaca.

In casi più rari in cui la fibrillazione atriale determina una spiccata bradicardia (ovvero una bassa frequenza cardiaca) si pone indicazione all’impianto di un pacemaker.