Approfondiamo l’argomento con il professor Vittorio Gallo, specialista in, Malattie del Fegato e del Metabolismo, Gastroenterologia e professore di Medicina interna dell’Università degli Studi di Torino e libero professionista presso la Clinica Sedes Sapientiae.
Cos’è la steatosi epatica?
La steatosi epatica è una malattia del fegato, tutt’altro che rara, di cui soffrono da 3 a 5 persone su 10 in relazione alla causa sottostante. La steatosi epatica è caratterizzata dalla presenza di gocce di grasso (lipidi) all’interno delle cellule del fegato (epatociti). L’accumulo di grasso all’interno degli epatociti contribuisce, nel tempo e silenziosamente, a produrre danni progressivi alla struttura e alle funzioni del fegato. I danni sono causati da processi infiammatori e dalla successiva fibrosi del tessuto epatico che, progressivamente conduce a danni irreversibili del fegato. Se non valutata e curata per tempo, la steatosi epatica può dunque evolvere all’insufficienza funzionale epatica, dunque alla cirrosi epatica e, in più rari casi, al tumore del fegato.
La sequenza patologica può essere descritta così: fegato sano, steatosi, steatoepatite, cirrosi, epatocarcinoma.
Quali sono le cause dell’accumulo di grasso nel fegato?
Tra le cause principali della steatosi epatica, si trova storicamente l’abuso di alcol (steatosi alcolica). Attualmente è in crescita esponenziale l’associazione tra steatosi, diabete e obesità e altre malattie metaboliche, prescindendo dunque dall’abuso di bevande alcoliche. Le cattive abitudini alimentari e stili di vita non sani condurranno comunque e frequentemente all’ insulino-resistenza e al diabete, alla sindrome metabolica, obesità e sovrappeso. In alcuni casi trova un ruolo anche predisposizione genetica con mutazione “sfavorevole” sul gene PNPLA3 (Adiponutrina).
Nell’ambito della steatosi epatica si riconoscono dunque la steatosi epatica alcolica da eccessivo e prolungato consumo di alcol e la steatosi epatica non alcolica (Non Alcoholic Fatty Liver Disease, NAFLD), che in genere si accompagna, come detto, alla “sindrome metabolica” con diabete mellito di tipo 2 e obesità, alimentazione particolarmente ricca in carboidrati e anche in grassi. La sua prevalenza media mondiale si aggira intorno al 24% per raggiungere il 30% nei paesi sudamericani. Questa condizione vede l’accumulo di trigliceridi all’interno delle cellule epatiche. Quando questa situazione diventa causa di infiammazione epatica, ben caratterizzata dall’aumento degli enzimi epatici (transaminasi e gamma glutamil transpeptidasi) la steatosi non alcolica assume le caratteristiche della “steatoepatite non alcolica” (Non-Alcoholic Steato Hepatitis, NASH).
Con quali sintomi rivolgersi al medico e quali sono gli esami?
La steatosi epatica è una malattia silente, che non dà sintomi evidenti per la persona che ne soffre, o che dà sintomi aspecifici che possono indurre a rivolgersi al medico per un check up e per esami di controllo per altri motivi. In genere, con l’esame obiettivo, il medico rileva anomalie nella dimensione del fegato durante la palpazione dell’emiaddome destro, al di sotto del costato dove si trova il fegato, che appare palpatoriamente aumentato di volume proprio a causa della presenza di grasso nelle sue cellule.
L’esame fondamentale per la diagnosi di steatosi epatica è l’ecografia addominale e l’identificazione del segno tipico, il cosiddetto “fegato brillante” o iperriflettente, a causa della iperriflettenza motivata dal grasso presente nel fegato.
Insieme all’ecografia addominale, sono fondamentali la valutazione degli enzimi epatici (transaminasi, gamma-glutamil transpeptidasi), trigliceridi, colesterolo LDL, glicemia, emoglobina glicata, insulinemia. Infine, assai rilevante è l’elastosonografia epatica (Fibroscan) per determinare l’eventuale presenza della fibrosi epatica, quale effetto a medio-lungo termine della infiammazione e segnale di possibile evoluzione verso la cirrosi epatica. Nel contesto dell’esame elastosonografico assume particolare rilievo la possibilità di valutare la presenza della stessa steatosi, non solo qualitativamente ma anche quantitativamente con la Liver Fat Quantification, LFQ.
In ogni caso, dal momento che la steatosi epatiche s’accompagna frequentemente a patologie metaboliche, endocrinologiche, cardiovascolari, l’approccio diagnostico e terapeutico è multidisciplinare.
Come si cura il fegato grasso?
Al momento non è disponibile una terapia farmacologica specifica per la steatosi epatica: il trattamento più efficace ad oggi disponibile prevede la dietoterapia e cambiamenti dello stile di vita. La dieta ipocalorica ipoglicidica e uno stile di vita attivo hanno dimostrato di poter fermare la progressione della malattia e, nei casi di malattia iniziale, anche ridurre la steatosi, prevenendo così le complicazioni associate al fegato grasso. La dietoterapia prevede un’alimentazione povera in particolar modo in carboidrati e fra questi in fruttosio, evitando quindi il consumo eccessivo di frutta ad elevato contenuto zuccherino (banane, fichi, uva, cachi), riduzione dei grassi animali, abolizione dei cibi industriali (olii vegetali polinsaturi, carni macinate e lavorate, qualunque prodotto industriale) e mantenendo il consumo di verdure fresche e alimenti proteici e grassi di buona qualità, e eliminando ovviamente del tutto il consumo di alcolici. Particolare importanza prevede la diagnosi precisa e la terapia del diabete mellito.
Il trattamento farmacologico della steatosi epatica non alcolica NASH vede la recente approvazione di una molecola (resmetirom), che sembra essere molto promettente per la cura di questa forma di fegato grasso. Ed è verosimile l’approvazione a breve anche in Italia.